domenica 26 dicembre 2010

IL GIAPPONE - 3° parte

a cura di Ist. Benini Barbara


Storia


Macro periodo

Principali periodi storici

Periodo di riferimento

Civiltà neolitica

Jomon
Yayoi
Kofun
4500 a.c. – 200 a.c.
200 a.c. – 200 d.c.
200 - 500
Periodo antico
Yamato – Asuka
Nara
Heian
350 – 645
710 – 784
794 - 1185
Medioevo
Kamakura
Dinastie meridionali e settentrionali
Muromachi – Ashikaga
1185 – 1333
1333 – 1392
1392 – 1575
Medioevo / Premoderno
Azuchi - Momoyama
1568 – 1600
Periodo premoderno
Tokugawa
1600 - 1868
Periodo moderno
Meiji
Taisho
Showa
Heisei
1868 – 1881
1912 – 1926
1926 – 1989
        1989 - 

La storia sicuramente documentata risale al VI secolo d. C. Già nel secolo successivo il potere effettivo viene assunto dalla famiglia Fujiwara che detiene ereditariamente la carica di primo ministro fino all’XI secolo. Dopo un periodo di guerre civili il potere passa alla famiglia Minamoto che con Yoritomo assume il titolo di shogun, accentrando tutti i poteri civili e militari. Il potere centrale è in piena decadenza nel XIV-XV secolo a causa dell’importanza assunta dai governatori militari (daimyo) che allargano continuamente la loro sfera d’azione, avvalendosi di truppe mercenarie (samurai); solo verso la metà del XVI secolo gli shogun riprendono saldamente in mano le redini del potere. Allo stesso perido risalgono i primi contatti con l’Europa, in particolare tramite missionari cristiani e commercianti portoghesi, olandesi, inglesi. Tuttavia dal 1633 il Giappone si isola completamente dalla penetrazione europea; soltanto nel 1853 forze navali della marina statunitense lo obbligano ad aprire alcuni porti al commercio europeo e americano. Nella seconda metà dell’Ottocento si stabiliscono rapporti diplomatici fra il Giappone e le maggiori potenze, mentre una serie di rivolgimenti cambiano completamente la struttura politica del paese: abolizione dello shogunato (1868), affermazione dell’autorità dell’imperatore su quella dei daimyo (1877), promulgazione di una nuova costituzione (1889). Anche l’abilità diplomatica giapponese dà i suoi frutti (alleanza con la Grn Bretagna, 1902). Frattanto con la vittoria della Russia (1905) e la conquista della Corea (1910), il Giappone assurge al rango di grande potenza; nel 1914, alleato della triplice intesa, entra in guerra contro gli imperi centrali (Austria e Germania). Nel primo dopoguerra, l’introduzione e la pronta assimilazione delle tecniche occidentali più moderne e il conseguente grande incremento industriale e commerciale spingono il Giappone a una politica nazionalistica ed espansionistica. Alleato con le potenze dell’Asse, partecipa alla seconda guerra mondiale contro gli alleati. L’impero giapponese, nel momento della sua massima espansione (1942-1943), comprendeva Manciuria, Corea, Cina orientale e costiera, Formosa, Asia sudorientale, Indie orientali olandesi, Nuova Guinea settentrionale, Filippine, oltre a numerosi arcipelaghi dell’oceano Pacifico. Sconfitto (bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, 1945), nel secondo dopoguerra il Giappone firma un trattato di cooperazione con gli Stati Uniti, riconquistando e superando i livelli industriali ed economici dell’anteguerra.
In conclusione di questo paragrafo, vorrei citare due figure legate indissolubilmente alla storia del Giappone ed entrate anche nell’idea che noi occidentali abbiamo di questo paese e delle arti marziale : il samurai e il ninjia.
 
Il Samurai ( dal giapponese Samurai, derivato di Samurau “ osaburo” “essere al servizio di” ) era in origine un soldato di guardia al palazzo imperiale. Dopo il XII secolo questo termine indicò la casta militare e, dal XVII secolo, anche gli amministratori dei daimyo. Per l’importanza delle guerre durante il medioevo, i samurai divennero una vera e propria casta privilegiata, avente un codice d’onore, il Bushido, e per emblema due sciabole,  una lunga (katana o daito) l’altra corta ( wakizashi o shoto).Punto fermo del Bushido (via del guerriero) era l’onore, che il samurai doveva dimostrare sia in guerra che nella vita quotidiana.
Il samurai doveva avere una totale padronanza delle proprie emozioni e dimostrare il giusto equilibrio tra azione e riflessione. Fondamentale per il raggiungimento di questo alto livello di autocontrollo era la pratica dello zen. Coraggio, modestia, sobrietà e lealtà verso il proprio signore erano altre qualità richieste al samurai. Lealtà che poteva anche portare al suicidio rituale. “Seppuku” (chiamato anche hara-kiri, “ventre taglio”) era il modo più onorevole che il samurai aveva per togliersi la vita ed era la dimostrazione finale del suo coraggio. Questo rituale era considerato un privilegio riservato solamente ai samurai che avevano assoluta padronanza del proprio destino. Non si conoscono le radici del seppuku ma sono conosciute le occasioni per praticarlo:
- seguire anche nell’aldilà il proprio signore
- evitare di essere catturato dal nemico in caso di sconfitta
- contestare e far cambiare una decisione presa da un Signore
- colpe commesse verso un superiore
Per comprendere il significato di questo gesto è necessario tornare allo studio dello zen. Secondo questa filosofia la morte e la vita erano sullo stesso piano, quindi l’atteggiamento del guerriero doveva essere positivo nei confronti di entrambe: anche in questo momento estremo il samurai doveva dimostrare serenità, rilassatezza ed autocontrollo.
Dopo un bagno purificatore e un banchetto offerto dai suoi amici, seguito in alcuni casi dalla recita di brevi poesie, il guerriero seduto su un panno bianco si squarciava il ventre, aiutato nel momento culminante del rituale dal suo migliore amico, al fine di abbreviare la sofferenza.
In principio le armature erano un insieme di ferro e cuoio; successivamente l’armatura si evolse fino a formare la famosa composizione fatta da lamine di ferro fissate da lacci in pelle o in seta, che ha caratterizzato tutta la storia del Giappone.
Doveva essere poco ingombrante per non intralciare i movimenti durante il combattimento e la parte più caratterizzante era la maschera, che aveva la funzione di riparare il viso e di equilibrare l’elmo.Fatta di cuoio, ferro, acciaio e assemblata da più pezzi, aveva le sembianze di un demone, di un barbaro e persino di donna. 
Secondo il bushido, nei periodi di guerra la sciabola lunga era lo strumento mediante il quale il pensiero del samurai si concretizzava in azioni. Simbolo dell’anima stessa del samurai, i professionisti della guerra si impegnavano a definirne le norme d’uso, e a perfezionare affinché la loro bellezza esteriore ne rispecchiasse la nobiltà dell’impiego.

Il ninja era un esperto nel ninjutsu (“arte dell’invisibilità”), arte marziale dell’antico Giappone basata su complesse tecniche (travestimento, aggiramento di ostacoli, lotta).

Durante la guerra civile denominata “Tumulti dell’era Onin” (1470-1560 circa) i ninja divennero veri agenti segreti, talvolta con funzione di sicari, al servizio degli shogun. Non esisteva arma che non sapessero costruire ed usare, non esisteva forma di combattimento in cui non fossero abili e niente che potesse intimidirli, abituati a varcare la sottile soglia tra la vita e la morte senza mostrare il minimo turbamento d’animo. Avvenne così che allo scoppiare della guerra russo-giapponese gli sbigottiti marinai zaristi si trovarono a dover affrontare misteriose figure vestite di nero che abbordavano le loro navi e scomparivano dopo averle sabotate.Durante la prima e seconda guerra mondiale, poi, si diffuse la leggenda dei diavoli giapponesi capaci di uccidere con il solo tocco di un dito.Il Giappone riscoprì così l’importanza di persone che sapessero muoversi furtivamente nella notte senza lasciare tracce, che potessero colpire il nemico senza neppure apparire, che sopportassero disagi di ogni genere con storica indifferenza. L’occupazione militare del Giappone da parte degli americani costrinse tutte le arti marziali ed il ninjutsu in particolare a tornare alla più totale segretezza.